A Bergamo si segnalano ogni giorno circa il 24-25% dei nuovi casi positivi di COVID-19 e si registra il 27% di tutti i decessi della Lombardia che si possono quantificare in una media di circa 50 al giorno.
Il dato sugli operatori positivi è indicato a livello nazionale nel 12% dei contagiati, ma ci sono strutture, proprio a Bergamo, dove si parla del 30% e si tratta soprattutto di quelle non necessariamente ospedaliere, ma che ospitano pazienti fragili dove c’è la carenza più forte per i professionisti di dispositivi di protezione individuale (DPI), come ha anche denunciato la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche riferendosi a RSA, hospice e ADI.
A Bergamo un medico e un operatore del 118 sono morti a causa del coronavirus (anche se gli accertamenti definitivi dell’Istituto superiore di Sanità non sono ancora disponibili).
In Italia al 16 marzo l’Istituto Superiore di Sanità ha indicato 2339 operatori sanitari infetti, dati probabilmente sottostimati, circa la metà in Lombardia, secondo i dati della Regione e nel nostro territorio quelli accertati circa 300, di cui la maggior parte infermieri.
“E’ una situazione insostenibile – affermano i presidenti degli ordini provinciali degli infermieri e dei medici di Bergamo, rispettivamente Gianluca Solitro e Guido Marinoni - ma non perché i nostri professionisti non possono o non devono ammalarsi: ciascuno di noi dedica se stesso ad aiutare i cittadini e mai si tirerebbe indietro. È insostenibile perché questo in gran parte avviene per la mancanza di dispositivi di protezione individuale che, per ammissione delle stesse autorità regionali, devono ancora arrivare in un numero sufficiente a garantire la protezione di tutti. Il Governo ha assicurato, giustamente, le imprese che chi lavora per non fermare la produzione sarà protetto: ci dispiace dirlo così, ma il Governo deve garantire e subito che chi sta prendendosi cura dei cittadini malati di COVID-19, sia protetto nel giusto modo, con le giuste attrezzature e con l'attenzione dovuta alla certezza di venire a contatto col virus, visto il ruolo che ha nell’assistenza”.
“Le manifestazioni di affetto dei cittadini verso medici e infermieri sono sicuramente un grande palliativo alla sofferenza e alla paura che gli operatori provano ogni ora del giorno di fronte a questa situazione: grazie alle persone che lo capiscono e che, anche così, come rispettando le regole di sicurezza indicate a livello nazionale, ci aiutano”.
Ora però c’è bisogno assoluto non solo di organizzare le strutture in vista del picco della malattia per non far collassare la Regione e le sue province più colpite, tra cui Bergamo è in testa, ma della dimostrazione da parte delle istituzioni di non lasciare soli i professionisti che vi operano e che non lasceranno mai soli i cittadini che sono affidati loro. Ora c’è bisogno di certezze: DPI adeguati, sostegno al territorio per far fronte ai numerosi casi seguiti a domicilio e nelle RSA, implementazione degli ausili per la somministrazione di ossigeno terapia a domicilio (al momento carenti in tutta la provincia) e non ultimo aumento di medici e infermieri. Allo stato attuale, in una scala di priorità, Bergamo è la provincia d’Italia maggiormente colpita, e come tale ne vanno sostenute e implementate le risorse per evitarne il collasso.
Gli infermieri e i professionisti sanitari tutti, hanno bisogno di avere informazioni chiare, concrete e continue sullo stato di evoluzione dell’infezione da COVID19 nel nostro territorio e il riferimento provinciale è ATS alla quale chiediamo indicazioni e azioni a sostegno della tutela dei nostri professionisti e quindi dei cittadini.
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